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Musica

Pearl Jam @ Stadio Euganeo, 24/06/2018

È sempre strano, per me, andare ad un concerto di un gruppo che ascolto volentieri ma di cui non sono fan: stavolta è toccato ai Pearl Jam.

Per chi non li conosce, i Pearl Jam, sono una band di origine americana nata nel ’91 assieme al movimento grunge di cui inizialmente era esponente assieme ai ben più grunge Nirvana.

A me piacciono perché i loro album sono ricchi di testi impegnati e di denuncia, perché il loro sound mi stuzzica ed, infine, il frontman Eddie Vedder ha una voce ed una capacità di interpretazione che mi ribalta dalla sedia e mi causa notevoli brividi alla schiena.

Quello a cui assisteremo è il ventesimo concerto della band in Italia, che promette di tornare molto presto con materiale inedito: molto bene!

Bando alle ciance, ecco la setlist della serata:

– Pendulum
– Low Light
– Last Exit
– Do the Evolution
– Animal
– piccola improvvisazione per Padova, con l’aiuto dei fan
– Corduroy
– Given to Fly
– Gods’ Dice
– Not for You
– Even Flow
– Daughter
– Red Mosquito
– Mind Your Manners
– Down
– Spin the Black Circle
– Porch
– Small Town
– Inside Job
– Once
– Better Man
– Black
– Crazy Mary (cover; sembra sia stata inserita al posto di Jeremy all’ultimo istante, vedi foto)
– Rearviewmirror

Bis:
– Smile
– Alive
– Baba O’Riley cover dei The Who
– Indifference

Lo stadio euganeo, diciamolo, è pessimo: la viabilità, i parcheggi e l’organizzazione dei posti a sedere in tribuna sono da denuncia.
Parcheggiamo a 1km di distanza proprio col pensiero di toglierci dalle scatole appena finirà il concerto senza incappare in lunghe code, ci beviamo le consuete birrette prima di entrare e, una volta raggiunta la nostra tribuna, realizziamo che siamo così laterali da non riuscire a vedere nulla!!

Considerando che ci hanno venduto una “visibilità limitata” come “tribuna gold” decidiamo subito di spostarci per vedere meglio e, così, come noi fanno tanti altri: proprio in quel momento spunta Eddie Vedder con la sua band.

Il suono di “Pendulum” mi rimette subito al mondo, la voce di Vedder parte incerta ma subito diventa calda e intensa. E sono già in estasi.

Mi sorprendono sempre le rock band che iniziano i concerti in modo tranquillo e lento. Mi aspettavo una bomba di dieci minuti di musica assordante e invece mi ritrovo cullata da questa bella canzone.

Qualche minuto più tardi arriva “Last Exit” che a dispetto del testo serioso che parla di morte (last exit, ultima uscita) ha un ritmo che mi è sempre piaciuto e che mi ha sempre fatto muovere il culo. E mi scateno, finalmente!

“Do The Evolution” mi da il colpo di grazia e ormai ballo come non ci fosse più nessuno attorno  a me. Invece sono attorniata da altri pazzi scatenati che urlano assieme a me e a Eddie all’inizio della canzone e si dimenano all’irresistibile assolo di chitarra.

“Corduroy” significa velluto a coste ed è il tessuto di cui era fatta un’anonima giacca che Vedder pagò pochi dollari prima di diventare famoso e che fu venduta a più di 600 quando ormai la fama dei Pearl Jam era mondiale. È un’altra canzone che mi piace da morire, parla di come la popolarità cambi la visione che le persone hanno di te. Il ritmo è incalzante e noi continuiamo a divertirci come pazzi.

Mi rendo conto che questa band sa darsi ai fan molto più di quanto pensassi, c’è tanta umanità in Eddie Vedder che parla tantissimo alla folla e legge, da un blocco di fogli che si è portato dietro, alcuni discorsi in italiano stentato. Fa tenerezza ma lo apprezzo davvero molto: mi piacciono i frontman che si raccontano e che interagiscono col pubblico. Improvvisa anche un coro per Padova e tutti lo seguiamo inebetiti da ogni tipo di emozione.

È il turno di “Given To Fly” che mi piace sempre parecchio: parla di continuare a dare il proprio amore e la propria fiducia nonostante le vicissitudini della vita che vorrebbero farci chiudere a riccio. È la mia filosofia di vita e sono contenta di sentirmi compresa!

“Even Flow” arriva velocissima, è tra le mie preferite e non riesco neanche a godermela appieno; sembra finire in un attimo! Rifatela subito, vi prego, fatemi un bis immediato, ne ho bisogno!!
Even flow, thoughts arrive like butterflies…

“Daughter” non mi fa impazzire ma Vedder la dedica a Ivanka Trump con un sottile suggerimento: dai un calcio nelle palle a tuo padre.

La selvaggia “Mind your manners” non me l’aspettavo e, nonostante sia una fra le mie preferite, non riuscivo in quel momento a ricordare il ritornello. Assurdo.
Mind your…
Mind your…gnegners
Cazzo, sì: Mind your manners!!!

Dopo qualche pezzo che conosco poco è la volta di “Once” che, secondo me, andrebbe suonata all’interno della trilogia Alive-Once-Footsteps per cui è stata pensata; presentata così da sola non mi ha fatto nè caldo nè freddo, devo essere sincera. Sarà la dipendenza da suite musicali da 25 minuti che mi ha causato l’ascolto troppo prolungato dei Pink Floyd…

Viene anche suonata “Better Man” che a quanto ho capito piace ai fan. Non mi fa impazzire, voglio sentire le scariche di adrenalina e non la apprezzo quanto dovrei.

Appena sento la strofa “Sheets of empty canvas…” sento un colpo al cuore. Può un uomo soffrire d’amore così profondamente risultando sexy in maniera spropositata? Se si chiama Eddie Vedder sì! Il testo di “Black” toglie il fiato per quanto è struggente, la gestualità di Vedder assieme alla sua voce avvolgente fanno il resto. Un lunghissimo momento di grande intensità che mi lascia inebetita. Una canzone da bacio in bocca.

A questo punto i nostri eroi avrebbero dovuto regalarci una bella “Jeremy” ma fanno la pessima scelta di suonare, al suo posto, la cover di “Crazy Mary”. Non mi piacciono proprio le cover, non ne capisco l’utilità; in questo caso poi non vi dico che nervoso!

Dopo “Rearviewmirror” cominciano i bis.

Vedder, ormai, ha una chiacchera incontenibile: ha finito di leggere tutti i suoi fogli in italiano quindi comincia a parlare a ruota libera. In inglese/americano. Capisco vagamente che dedica la prossima canzone alla bambina appena nata di una coppia di fan italiani molto vicini alla band.

La canzone è “Smile”.

Segue un’altro discorso pressoché infinito del caro Eddie, perdo subito il filo di quello che dice perchè purtroppo non lo capisco. Quello che intuisco, invece, è che sta per finire il concerto e che dobbiamo avvicinarci all’uscita e volare via appena posano gli strumenti: ricordate che la viabilità allo stadio Euganeo fa pena, vero?

Parte “Alive” ed è il regalo che tanto desideravo.
Chiudo gli occhi, allargo le braccia e la canto tutta così perchè non c’è altro modo.

Finita quest’ultima botta di sentimenti, io e miei compagni di avventura, ci raduniamo e decidiamo di uscire. In tanti ci anticipano e ci seguono: ed è una scelta molto saggia.

Perdiamo “Baba O’ Riley”, cover dei The Who che fa da sigla a qualche CSI che non mi sovviene, e “Indifference” che comunque sentiamo mentre ci allontaniamo a piedi.

Così facendo evitiamo tutto il traffico post concerto e in poco più di un’ora arriviamo a casa. Chi ha aspettato la fine del concerto ha impiegato qualcosa come due ore per raggiungere il casello autostradale che dista 2km dallo stadio: assurdo!

(foto da internet)

In conclusione posso dire di essere contentissima di aver partecipato a questo concerto.

Vedere Eddie Vedder live a 53 anni è stato una meravigliosa scoperta per me: è ancora più profondo, con una voce matura che entra dentro e ti ribalta, un’umanità bellissima (che mi ha fatto capire come mai Roger Waters gli voglia così bene) e una vicinanza ai fan che non è così scontata da trovare.

Andrò certamente anche ai loro futuri concerti in Italia perchè meritano ogni singolo centesimo del biglietto!

Vi lascio la playlist del concerto che ho creato su Spotify: ho saggiamente sostituito “Crazy Mary” con “Jeremy” 

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